domenica 8 novembre 2009

Cosmos

Stamattina mi sono svegliata e non ho avuto il tempo di pensare a come dovevo sentirmi. Ho aperto gli occhi e ho fatto forza sui gomiti per arrivare ad accendere l'abat-jour bianca che ha illuminato all'improvviso il ricordo di qualcosa che non sarebbe dovuto succedere. Parole che avrei potuto dire meglio, sorrisi che avrei dovuto lasciar stretti tra i denti. Mi sono sentita morire. Non avevo idea, precisamente come sette giorni fa, 168 ore, di quale scegliere tra le centinaia di stati d'animo a mia disposizione. Non so, tiriamo a sorte? Andiamo a sensazione? Il suono migliore? Quello lungo quanto il mio nome? Ci sono un sacco di criteri, e nemmeno uno che mi vada a genio. Per questo sono stata zitta per le due ore succesive, e neanche adesso avrò proferito più di una cinquantina di parole. Mi occorre tempo per rendermi conto che ci sono cose che devo fare, mondi a cui devo partecipare, obblighi del vivere civile a cui non posso sottrarmi. Civile è una parola grossa. E per farlo, ho bisogno di provare qualcosa di meno indefinito di questo. Forse è semplicemente che non voglio sentirmi.

2 commenti:

  1. A volte sembra che le parole siano le uniche a tenerci legati alla realtà...

    perchè "passiamo la maggior parte della nostra vita a sognare, soprattutto quando siamo svegli" (Carlos Ruiz Zafòn)

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