sabato 9 maggio 2009

Luccicante un raggio di cometa attraversa il cielo, polvere di stelle

Appoggio il naso sul mio polso, tre centimetri prima che diventi mano. Inspiro a fondo, a pieni polmoni. In un primo momento l’odore mi stordisce. All’altezza dell’orologio rosa di plastica, il cinturino ha lasciato sulla pelle un odore forte, pungente. Sa di estate, lenzuola sudate, odore di pomeriggi assolati, di cuoio, cuoio vissuto. Come qualcosa che ricorda la tua infanzia, qualcosa che ti stringe a se quasi schiacciandoti, che ti fa paura ma da cui sei irrimediabilmente attratta. È penetrante, acre, non propriamente buono, ma è uno di quegli odori da cui non riesci a staccarti. Fa quasi male.
E l’orologio è fermo, segna da vent’anni la stesa ora, le 12.26.28. Oppure le 24.26.28. Io credo che fosse un mezzogiorno, un mezzogiorno di luglio, quei giorni che sembrano scorrere in un unico grande ammasso senza una forma precisa, incollati uno sopra l’altro, in cui tempo e spazio non sembrano avere più senso. È in uno di questi giorni che l’orologio si è fermato, una mattina in cui lei si è svegliata tardi e non ha pensato a guardare l’ora fino, diciamo, alle sette di sera, e poi se n’è accorta. Aveva smesso di funzionare e lei non ci aveva fato caso. Dopo uno sguardo di sincero dispiacere, non ha più pensato a farlo aggiustare.

1 commento:

  1. wow
    questo post è fantastico!
    però non l'ambiento a casa tua, un villino al mare preso in affitto per, quanto era?, vent'anni

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